I figli, in qualità di eredi legittimi dei propri genitori, sono tutelati dalla legge in quanto al verificarsi dell’apertura della successione a loro spetta la cosiddetta quota di legittima prestabilita dalla legge e della quale nessuno può esserne privato neppure su disposizione testamentaria.
Può verificarsi la situazione in cui il figlio si trovi nella condizione di dover tutelare il patrimonio del padre perché teme che possa essere dissipato irrimediabilmente e così vedere la sua futura eredità notevolmente ridotta. Il figlio non può in alcun modo impedire al proprio genitore di disporre dei propri beni, tuttavia può sorvegliare che ciò non accada e qualora reputi che il genitore abbia ridotta capacità di intendere e di volere e, soprattutto, di gestire in maniera autonoma il proprio patrimonio può rivolgersi al Giudice Tutelare per chiedere un’amministrazione di sostegno o, qualora ne sussistano i presupposti, può far dichiarare l’interdizione o l’inabilitazione del genitore in questione.
Non è possibile invece stipulare un patto vincolante sulla futura eredità, in quanto i patti successori sono vietati dalla legge ex art. 458 c.c.
Qualora il figlio si renda conto che il genitore è fragile o facilmente influenzabile, può chiedere una valutazione medico-legale e l’eventuale amministrazione di sostegno.
Se invece si verifica la particolare situazione in cui il genitore ha un compagno/a che si appropria di beni senza titolo (es. conti correnti, oggetti, prelievi ingiustificati), occorre innanzitutto documentare e provare i movimenti di denaro e successivamente agire con un’azione di restituzione in sede giudiziale all’apertura della successione. In alcuni casi molto gravi è anche possibile denunciare la persona che si è appropriata indebitamente dei beni del genitore per circonvenzione di incapace, se è riconosciuta in capo al genitore l’incapacità di intendere e di volere.
Cosa succede se i chiamati ad accettare l’eredità sono ancora minorenni?
I minorenni infatti possono essere nominati eredi in un testamento o essere chiamati alla successione legittima di un loro parente, ma, non avendo la capacità di agire (che si acquista con la maggiore età), non possono decidere autonomamente se accettare o rinunciare all’eredità.
Inoltre, considerato che la successione potrebbe esporre il minorenne a responsabilità per i debiti del proprio dante causa, sono previste tutele specifiche volte ad impedire che l’acquisto dell’eredità possa danneggiarlo. Nel caso in cui il chiamato all’eredità sia un minorenne, è il suo legale rappresentante (di norma, i genitori congiuntamente o quello che eserciti in via esclusiva la responsabilità genitoriale sul figlio) che può accettare o rinunciare (art. 320, comma 1, c.c.).
Sia in caso di accettazione che in caso di rinuncia dell’eredità, i genitori (o altro legale rappresentante) non possono decidere autonomamente per il minore, ma devono essere autorizzati dal giudice tutelare (art. 320, comma 3, c.c.). Per ottenere l’autorizzazione all’accettazione (o, in alternativa, alla rinuncia) dell’eredità in nome e per conto del minore, i genitori devono depositare un apposito ricorso dinanzi al giudice tutelare competente, ossia quello del luogo in cui il minore abbia la residenza o il domicilio.
Solo una volta ottenuta l’autorizzazione del giudice tutelare, i genitori potranno presentarsi davanti ad un notaio o al cancelliere del tribunale competente per la successione (ossia quello dell’ultima residenza del de cuius) per compiere l’atto pubblico di accettazione o di rinuncia dell’eredità.
L’accettazione dell’eredità del minore deve essere fatta necessariamente con beneficio d’inventario.
L’accettazione “pura e semplice” dell’eredità comporta la c.d. confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede. Ciò significa che, se nella massa ereditaria ci sono debiti, questi si trasmettono integralmente all’erede. E l’erede sarà tenuto a pagarli anche con i propri beni personali, nel caso in cui quelli del de cuius non fossero sufficienti. L’accettazione “con beneficio d’inventario”, invece, fa sì che il patrimonio dell’erede resti separato da quello del defunto, per cui i creditori di quest’ultimo potranno soddisfarsi solo sui beni caduti in successione. L’erede, in questo caso, risponderà di eventuali debiti del de cuius nei soli limiti del patrimonio ereditato. Nel caso in cui l’erede sia un minorenne, invece, l’ordinamento – spinto da una evidente ratio protettiva – lo tutela in modo particolare, prevedendo che non si possa accettare l’eredità se non col beneficio d’inventario (art. 471 c.c.). Questa norma, di fatto, impedisce l’effetto della confusione tra il patrimonio dell’erede minorenne ed il patrimonio del defunto, con conseguente limitazione della sua responsabilità nei confronti di eventuali creditori del de cuius.
In caso di accettazione con beneficio d’inventario, il codice prevede termini precisi e stringenti per il compimento di una serie di attività volte a ricostruire il patrimonio del de cuius. Prima fra tutte, la redazione dell’inventario, ovvero un documento nel quale vengono elencati e descritti tutti i beni ricompresi nell’asse ereditario. Per il chiamato all’eredità minore l’art. 489 c.c. dispone infatti che non possa applicarsi ai minori la decadenza dal beneficio d’inventario, prorogando per loro la possibilità di procedere alla redazione dell’inventario sino al compimento dei 19 anni.
In conclusione, l’eredità devoluta ai minori può essere accettata solo con beneficio d’inventario, mentre ogni altra forma di accettazione espressa o tacita è nulla e improduttiva di effetti, non conferendo al minore la qualità di erede.
In difetto di accettazione, il minore rimane nella posizione di chiamato all’eredità e, nel termine di prescrizione di cui all’art. 480 c.c. (10 anni), il genitore (o altro rappresentante legale) potrà accettare l’eredità, ma solo con beneficio d’inventario; mentre lo stesso minore, una volta divenuto maggiorenne, potrà accettare senza il detto beneficio o rinunciare all’eredità.